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TTIP: standard nazionali sotto attacco

Intervista a Debbie Barker, dell'Istituto americano per la Sicurezza Alimentare (Cfs), esperta di trattati internazionali e recentemente in Italia proprio per partecipare a dibattiti pubblici relativi al Ttip.

Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), l'accordo commerciale discusso finora a porte chiuse fra Europa e Stati Uniti, potrebbe avere un impatto notevole sulle legislazioni nazionali innescando una corsa al ribasso senza precedenti. E' questo l'allarme che molte organizzazioni della società civile stanno lanciando a livello globale. Un messaggio amplificato, in particolar modo, da molte organizzazioni americane in virtù dell'esperienza pregressa del Nafta, l'accordo di libero scambio fra Stati Uniti, Messico e Canada entrato in vigore nel 1994. Un accordo che non ha fatto altro che gli interessi delle corporations, secondo i suoi detrattori che hanno messo in evidenza gli impatti particolarmente negativi sul mondo del lavoro e sull'ambiente. L'Europa corre lo stesso rischio? E' molto probabile, sembrano concordare gli osservatori internazionali, soprattutto se i rappresentanti della società civile continueranno ad essere emarginati dai negoziati. Il Ttip è infatti un accordo potenzialmente rischioso per le normative nazionali e riguarda praticamente tutti i settori strategici.

Dott.ssa Barker, in Italia il dibattito intorno al Tiip è aperto. Di cosa si tratta nello specifico e cosa ha di diverso rispetto agli altri trattati commerciali?

Il Ttip è un trattato di ultima generazione che ha poco a che fare con i trattati commerciali tradizionali che si concentravano soprattutto sulle tariffe. Europa e Usa non hanno d'altra parte bisogno di un trattato tradizionale considerando che le tariffe sono già molto basse, approssimativamente 5,2% per gli Usa e 3,5% per l'Ue. Il Ttip si concentra dunque su quelle che i negoziatori e le multinazionali definiscono barriere non tariffarie, ovvero gli standard sociali e ambientali costruiti democraticamente negli anni.

Standard che riguardano anche il suo settore di pertinenza, quello alimentare, e soprattutto un paese come l'Italia il cui cibo è conosciuto in tutto il mondo.

In Italia c'è il cibo migliore e più famoso al mondo ma bisogna capire che proprio questa forte cultura del cibo è un freno alle esportazioni americane. Le imprese americane del settore, per essere chiari, intendono le etichette come barriere. In Italia e in Europa le regolamentazioni sulla qualità del cibo sono superiori visto che fanno riferimento al Principio di Precauzione. La rimozione di questo principio è uno degli obiettivi principali delle imprese che negoziano il Ttip e anche del governo americano.

Significa che potremmo importare in Europa prodotti potenzialmente dannosi alla nostra salute?

Un esempio pratico è quello della carne. In Usa è consentito l'uso di ormoni per la crescita e il governo americano sta facendo pressione sull'Unione Europea per accettare l'import della sua carne. Ma ben il 90% della carne in Usa è prodotta con ormoni associati al cancro e ad altre malattie ed è proprio per questi motivi che le normative europee ne vietano l'import. Lo stesso discorso si potrebbe fare per l'uso degli antibiotici che avviene massicciamente in Usa ed è molto più limitato in Europa. Il mercato degli antibiotici in Usa è per l'80% destinato agli animali da macello ma questo abuso ha creato una resistenza da parte dei consumatori che ingeriscono quella carne: ad oggi si stima ci siano 23 mila decessi all'anno per infezioni contratte da persone che hanno sviluppato resistenza agli antibiotici. Questi sono solo due esempi ma potrei citarne molti altri a partire dall'utilizzo dell'arsenico negli allevamenti di polli per arrivare alle regolamentazioni sugli organismi geneticamente modificati.

Sembra chiaro che le imprese multinazionali abbiano perso ogni inibizione. Ma cosa ne guadagnerebbero Usa e Europa?

E' un trattato di nuova generazione, come già detto, la logica della contrapposizione fra interessi nazionali non è applicabile in questo caso. Noi siamo abituati a pensare in termini di che cosa ne guadagnano gli Stati Uniti e di cosa ne guadagna l'Europa e siamo naturalmente portati a farci ancora le stesse domande rispetto al Ttip. Ma non funziona più in questo modo. Le multinazionali europee e americane ora lavorano insieme per influenzare gli accordi. E questo perché le imprese sulle due sponde dell'oceano hanno gli stessi interessi a ridurre o a eliminare completamente quelle che loro considerano barriere ai loro profitti.

In che modo vengono applicati questi accordi una volta ratificati?

Gli accordi commerciali non sono risoluzioni delle Nazioni Unite ma al contrario hanno modalità di applicazione stringenti. Lo strumento più potente è l'Investor-State Dispute Settlement (Isds) che permette alle multinazionali di bypassare i sistemi giuridici nazionali e denunciare un governo sovrano presso un tribunale ad hoc. Le multinazionali possono reclamare in questo modo compensazioni per politiche o leggi che ostacolino i loro profitti. Non si tratta di una regola astratta o inapplicabile nella pratica: le multinazionali hanno ricavato oltre 400 milioni di dollari a seguito di cause intentate ai governi membri del Nafta accusati di aver applicato politiche non conformi ai loro interessi. Ma non è questa la cosa più grave. Questo meccanismo produce infatti un effetto di raffreddamento, quello che noi chiamiamo il chilling effect, sui governi che, per paura di essere citati in giudizio, preferiscono non adottare politiche o legiferare contro gli interessi del big business.

Gli standard sono dunque destinati a livellarsi verso il basso? Potrebbe accadere lo stesso anche nel mercato del lavoro europeo?

Nell'ambito del dibattito sul Ttip, i rappresentanti della società civile americana sono rimasti sorpresi dall'ottimismo dimostrato dai colleghi europei che, in molti casi, pensano che l'accordo possa rappresentare un'opportunità di elevare gli standard. Quello che posso dire a riguardo è che l'esperienza americana dimostra esattamente il contrario. Negli ultimi vent'anni gli standard si sono abbassati e questo nonostante le altisonanti assicurazioni dei governi coinvolti. Una delle promesse è che il Ttip possa risollevare le economie nazionali e creare nuovi posti di lavoro. Negli Stati Uniti questo non è successo. E' successo piuttosto il contrario. La nostra esperienza negli Usa ci ha insegnato come i veri vincitori siano le multinazionali e come i perdenti siano i lavoratori e l'ambiente.

La cosa sorprendente è che tutto questo si stia producendo con la massima riservatezza e in maniera non democratica. Quali possono essere le contromisure degli attori del sociale?

La mancanza di trasparenza è semplicemente inaccettabile. La maggior parte di quello che sappiamo sui negoziati lo sappiamo grazie alle indiscrezioni che trapelano di tanto in tanto. Suggerisco che gli attori della società civile siano più audaci nel denunciare l'assurdità di tutto ciò soprattutto in un momento in cui viviamo una crisi ambientale, economica, sociale. Dobbiamo unire le nostre voci contro un'ulteriore diminuzione degli standard e delle politiche che proteggono la nostra salute, il nostro ambiente, i nostri progressi sociali. Dobbiamo mostrare ai negoziatori del Ttip il vero volto della democrazia.

Intervista pubblicata su Conquiste del Lavoro

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