L'INSOSTENIBILE REGIME DELLE MULTINAZIONALI: COSI' SCHIACCIANO LE PMI E AGGIRANO LA LEGGE
Il trattato commerciale Ttip, attualmente in fase di negoziazione fra Unione Europea e Stati Uniti, si prefigge molti obiettivi ambiziosi fra cui quello dell'armonizzazione dei sistemi al fine di facilitare gli scambi commerciali. Le organizzazioni della società civile sulle due sponde dell'Atlantico hanno però criticato a più riprese l'orientamento pro big business del sistema americano. Un orientamento che si sta imponendo anche in Europa e che potrebbe essere ulteriormente rafforzato dall'eventuale ratifica del Ttip. I recenti studi pubblicati dall'organizzazione non governativa americana Good Jobs First mettono in evidenza come i timori nei confronti di un modello di sviluppo disegnato dalle grandi imprese siano fondati. I comportamenti delle multinazionali, documentati nel corso degli ultimi anni, lasciano infatti molti dubbi sulla loro effettiva capacità di essere leader di un modello di sviluppo sostenibile. Il recente scandalo Volkswagen non è l'unico esempio di comportamento irresponsabile da parte di una grande azienda, come dimostra l'indagine dell'organizzazione americana che denuncia le violazioni sistematiche e costanti di molte multinazionali.
Quanto avviene negli Stati Uniti è sintomatico di un sistema oramai dominato dal big business. Le grandi aziende hanno infatti un ruolo preminente nel sistema economico americano e attraverso le loro lobby riescono a influenzare le decisioni della politica, come dimostra l'indagine di Good Jobs First che ha passato al setaccio oltre 4.200 incentivi economici concessi dalle amministrazioni pubbliche in 14 Stati. I risultati dell'indagine sono stupefacenti: negli ultimi cinque anni, il 70% degli incentivi sono andati alle grandi imprese che sono così riuscite a racimolare ben il 90% del totale dei finanziamenti elargiti. Un giro di denaro pubblico di oltre tre miliardi di dollari a cui potevano avere accesso, senza alcuna distinzione, sia le piccole e medie imprese sia le grandi. In questo modo, sostiene l'organizzazione non governativa, i politici americani hanno gioco facile nel riempirsi la bocca di retorica pro pmi ma, quando si arriva al dunque, sono le grandi imprese ad accaparrarsi la parte più corposa e succulenta della torta.
Il modello pro big business si sta, d'altro canto, affermando in tutto il mondo. Il regime delle multinazionali non sembra, però, poter garantire uno sviluppo equo ed inclusivo. Al contrario, sono sempre più le multinazionali di tutto il mondo a destare scandalo per i loro comportamenti irresponsabili. Il favore della politica e la solidità finanziaria di questa tipologia di aziende sembrano rappresentare elementi in grado di mettere al sicuro le multinazionali. E' così che, di fronte agli scandali e alle eventuali sanzioni, ben raramente si assiste a un cambio di atteggiamento da parte delle aziende che, in molti casi, risultano addirittura recidive. L'ultimo rapporto Good Jobs First denuncia un modus operandi tutt'altro che responsabile da parte di molte grandi aziende internazionali: “Praticamente ogni giorno – si legge nel rapporto – c'è un nuovo caso che riguarda la cattiva condotta delle multinazionali fra cui corruzione, evasione fiscale, accordi sui prezzi, frodi ai danni di governi e consumatori, violazioni ambientali e dei diritti dei lavoratori; a causa della frequenza degli scandali è molto difficile mantenersi aggiornati su quello che combinano queste imprese”.
I calcoli dell'organizzazione americana potrebbero dunque essere per difetto, ma i numeri riportati danno egualmente un'idea della proporzione del fenomeno. Nel corso degli ultimi cinque anni, circa 1.600 compagnie sono state condannate a pagare oltre 57 miliardi di dollari per violazione degli standard ambientali e delle norme sulla salute e sulla sicurezza. Una classifica capeggiata dalla compagnia petrolifera BT che ha dovuto sborsare 25 miliardi di dollari in relazione al disastro ambientale di Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico. Il settore dell'estrazione petrolifera è quello complessivamente più multato ed è seguito da quello farmaceutico: nel 2012 la GlaxoSmithKline ha dovuto pagare 3 miliardi di dollari, nel 2013 la Johnson & Johnson ha dovuto corrispondere 2,2 miliardi, nel 2009 la Pzifer ha dovuto sborsare 2,3 miliardi. Anche il settore automotive, in attesa degli sviluppi relativi al caso Volkswagen per il quale si prevedono compensazioni record per oltre 7 miliardi di dollari, guadagna una posizione di tutto rilievo nella classifica di Good Jobs First. La General Motors ha dovuto recentemente pagare 900 milioni di dollari, la Toyota 1,2 miliardi di dollari, la Hyundai oltre 220 milioni e la Kia Motors 160 milioni. Chiude la classifica dell'automotive la Fca con oltre 105 milioni di dollari. Il dato più preoccupante, si sottolinea nel rapporto, è che la sanzione economica, per quanto rilevante, non sembra assolvere la sua primaria funzione di deterrente. E' allora giunto il momento, conclude l'organizzazione americana, di aprire un dibattito politico sul ruolo e sulla condotta delle multinazionali nel mondo.