TTIP: il processo di dis-integrazione europeo
Intervista a Jeronim Capaldo, ricercatore presso la Tufts University di Boston (Usa), dove si occupa di modelli macroeconomici dell’economia globale. Capaldo è stato inoltre membro del gruppo di economisti che ha sviluppato il Modello Globale di Politica Economica delle Nazioni Unite.
Il trattato Ttip, in fase di negoziazione fra Ue e Stati Uniti, non può essere considerato come l’unica soluzione ai problemi di crescita e di occupazione in Europa. Al contrario, a fronte di presunti guadagni decisamente marginali sul pil, il pericolo di un’ulteriore pressione sui redditi da lavoro è evidente. Vi è poi un ulteriore rischio non calcolato dagli studi ufficiali: l’espansione del commercio extraeuropeo potrebbe portare a una diminuzione del commercio intraeuropeo mettendo a repentaglio il processo d’integrazione continentale. Ma su quali basi vengono costruite e successivamente divulgate le previsioni sugli impatti del Ttip? Sono da considerarsi affidabili? Come possiamo comprendere più in dettaglio i possibili impatti del Ttip sulla nostra economia e sul nostro mercato occupazionale?
Dr. Capaldo lei definisce la posizione della Commissione Europea nei confronti del Ttip come “paradossale”. Ci può spiegare dove individua il paradosso?
Uno dei compiti principali della Commissione è promuovere l’integrazione economica dei paesi membri anche richiedendo notevoli sacrifici da parte di alcuni settori o alcuni paesi. Gli Italiani, per esempio, si ricorderanno le quote-latte o le manovre finanziarie per entrare nell’unione monetaria. Il Ttip rischia di disfare questo processo. In base agli studi più citati dalla Commissione, e da essa stessa giustamente richiesti, il Ttip porterà a una maggiore integrazione commerciale fra i paesi europei e gli Stati Uniti, ma al costo di una riduzione degli scambi interni all’Ue. Con il Ttip l’Unione Europea rischia di essere meno integrata, dis-integrata. Ecco il paradosso: l’istituzione che ha sempre promosso l’integrazione economica dell’Ue sostiene un trattato commerciale che rischia di dis-integrarla, almeno parzialmente.
Dunque, dopo la trappola dell'austerity, in quale direzione dovremmo guardare per rilanciare l'economia del vecchio continente?
Se l'obiettivo dell'Europa è la crescita sostenibile, allora un più alto volume dei commerci non è certo la soluzione. Nell’attuale contesto di austerità, alta disoccupazione e debole crescita, aumentare la pressione sui redditi da lavoro danneggerebbe ancor di più l’attività economica. Qualsiasi strategia di crescita praticabile in Europa dovrebbe poggiare su una forte politica di sostegno dei redditi da lavoro.
Le conclusioni dei suoi studi sembrano non coincidere con quelle delle indagini dei promotori del trattato.
Molti di questi studi si basano sullo stesso modello economico, noto come Computable General Equilibrium model, o CGE, che soffre di due seri limiti: assume piena occupazione ed esclude ogni cambiamento nella distribuzione del reddito. Se si abbandonano queste ipotesi i risultati delle proiezioni cambiano, mostrando, per esempio, che il Ttip può portare ad una diminuzione delle esportazioni nette dell’Europa e a minore crescita del pil.
Gli studi sbandierati finora dalla Commissione sono dunque limitati? Come possiamo prevedere i reali effetti del Ttip?
Gli studi finora condotti sul Ttip si sono concentrati sull’impatto del trattato sull’attività economica nei Paesi membri. E a tal fine si sono basati su analisi settoriali dettagliate delle economie del Ttip, ma hanno trascurato l’impatto della distribuzione del reddito e di altre importanti variabili macroeconomiche. La mia valutazione è basata invece sul Modello Globale di Politica Economica delle Nazioni Unite, che si fonda su ipotesi più realistiche in merito al processo di aggiustamento macroeconomico. Soprattutto questo modello non esclude per ipotesi un aumento della disoccupazione. La mia simulazione non mette in discussione l’impatto del Ttip sul flusso commerciale totale stimato dagli studi preesistenti. Analizzo piuttosto le implicazioni in termini di esportazioni nette, pil, occupazione, finanza pubblica e distribuzione del reddito.
Le sue simulazioni portano a risultati molto differenti rispetto agli studi della Commissione?
I risultati delle mie simulazioni delineano un quadro sostanzialmente diverso da quello offerto dagli studi esistenti, con il Ttip che provoca nell’Ue perdite nette in tutti i principali indicatori. Questo modello permette inoltre di fare proiezioni occupazionali perché stabilisce relazioni tra la crescita del pil e la crescita della disoccupazione su diversi decenni. Ho calcolato che la Ue perderebbe circa 600.000 posti di lavoro al 2025, la maggior parte dei quali in Europa del Nord, Francia e Germania. Nelle proiezioni riguardanti profitti e perdite al 2025, anche l'Italia presenta indicatori negativi per quanto riguarda le esportazioni nette (-0.36%), crescita del pil (-0.03%), occupazione, (-3.000) e reddito da lavoro (-661 euro per addetto). La perdita occupazionale andrebbe ad accelerare ulteriormente la diminuzione dei redditi che ha contribuito all’attuale stagnazione della Ue. Infatti, il reddito da lavoro continuerà costantemente a scendere come quota del reddito nazionale, riducendo i consumi e gli investimenti abitativi, esasperando nel contempo le tensioni sociali. Il rovescio della medaglia è una crescita della quota dei profitti e delle rendite nel reddito totale e quindi un trasferimento di reddito dal lavoro al capitale.
Insomma, pur ammettendo che ci siano guadagni marginali in termini di pil, secondo lei questi non si tradurrebbero necessariamente in benefici per i lavoratori.
La maggior parte delle analisi prevede deboli aumenti del pil nei Paesi Ttip, meno dello 0,5% sia nella Ue sia negli Usa. Il che significa che a conclusione del periodo di simulazione al 2027, il Pil sarebbe più alto dello 0,5% con effetti trascurabili sul tasso di crescita annuo. Malgrado la previsione di deboli aumenti del Pil, alcuni studi ipotizzano che il Ttip possa portare a lungo termine a consistenti aumenti dei redditi individuali. Si tratta però solo di medie aritmetiche. Con i salari in diminuzione rispetto al Pil fin dalla metà degli anni novanta, è tutt’altro che certo che gli utili aggregati si trasferiscano in aumenti dei redditi delle famiglie che vivono dei loro stipendi. Insomma, anche le più rosee prospettive non sono, tutto sommato, così rosee mentre secondo le mie proiezioni il Ttip porterà a una contrazione netta del pil, dei redditi personali e dell’occupazione.
Ha individuato nei suoi studi delle possibili soluzioni?
Ribadisco che, in base al modello delle Nazioni Unite, è necessaria una qualche forma di intervento per compensare la caduta della domanda aggregata. Il percorso preciso che le autorità di politica economica sceglieranno non è noto al momento ma è chiaro che esse non avranno molte possibilità di scelta per gestire questo divario della domanda. Il pericolo è quello di ripercorrere le strade insidiose di prima della crisi: sostenere i consumi con bolle speculative invece che reddito, e privilegiare la competitività internazionale tagliando i costi invece che sostenere la domanda interna.
Intervista pubblicata su Conquiste del Lavoro