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TPP: AL VIA PROCESSO DI RATIFICA FRA LE PROTESTE DEI SINDACATI


Più business ma meno posti di lavoro. Il Tpp, il Trattato di libero commercio transpacifico appena siglato fra Stati Uniti Australia, Canada, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Peru, Brunei, Cile, Singapore e Vietnam continua ad alimentare dubbi e timori. La firma dell'accordo, avvenuta giovedì in Nuova Zelanda, ha dato ufficialmente il via al processo di ratifica, che dovrebbe durare circa due anni, ma le proteste continuano a susseguirsi sui due versanti del Pacifico. A spaventare i cittadini e i lavoratori sono, in particolare, gli effetti di decisioni prese in maniera non trasparente in un contesto dove le lobby industriali detengono un ruolo privilegiato e dove i fenomeni di corruzione sono frequenti. E' il caso del Giappone dove il ministro del “rilancio economico” e capo delegazione per i negoziati sul Tpp, Akira Amari, è stato costretto a rassegnare le dimissioni proprio in seguito ad accuse di corruzione.

Il rischio paventato dalle organizzazioni della società civile è che l'accordo, che intende coprire il 38% dell’attività economica globale, intenda favorire soprattutto il business delle multinazionali mettendo da parte gli interessi dei lavoratori. E a dirlo non solo solamente i sindacati ma anche gli stessi studi citati dall'amministrazione Obama che, a fronte di un incremento dei profitti, rilevano il rischio effettivo di perdita di posti di lavoro. Che i negoziatori dei trattati non abbiano particolarmente a cuore la creazione di nuova occupazione di qualità è un dato oramai acquisito. L'esclusione dei sindacati dai tavoli negoziali e il ruolo di primo piano accordato alle lobby industriali nella definizione degli accordi non potevano portare a conclusioni differenti. Quello che desta ulteriore preoccupazione è però il fatto che anche gli studi ufficiali, recentemente utilizzati dall'amministrazione americana per sostenere le ragioni dell'accordo, siano sostanzialmente pessimisti riguardo la creazione di nuova occupazione di qualità in seguito all'entrata in vigore degli accordi. Secondo l'ultimo rapporto del Peterson Institute, pubblicamente citato dall'amministrazione Obama, il settore del manifatturiero americano, in particolare, è destinato a ridimensionarsi.

I sindacati americani dell'Afl-Cio sottolineano come il rapporto, a fronte di una poco convincente analisi che prevede un aumento degli export e dei salari, preveda la perdita di almeno 120 mila posti di lavoro nel manifatturiero entro il 2030 come diretta conseguenza dell'accordo commerciale. La speranza, più che la certezza, espressa nello studio, è che i posti di lavoro persi del manifatturiero vengano assorbiti dal settore dei servizi. Un panorama non certo rassicurante per i sindacati che continuano a contestare il presidente Obama che aveva inserito la creazione di nuova occupazione di qualità fra le priorità della sua amministrazione. In occasione del summit neozelandese, il presidente dei sindacati americani, Richard Trumka, ha espresso profonda preoccupazione definendo il trattato come un lasciapassare per le multinazionali che potranno ora godere di nuovi incentivi alla delocalizzazione e di nuovi strumenti per bypassare le normative nazionali sul lavoro. Trumka ha sottolineato l'importanza dello sviluppo del commercio internazionale ma anche l'esigenza di regole condivise: “Sfortunatamente – si legge nel comunicato di Trumka – i nostri suggerimenti sono stati ignorati così come quelli pervenuti dai consumatori e dai settori dell'ambiente, della sanità pubblica, del manifatturiero; questo è quello che accade quando i negoziati sono segreti e diretti dagli interessi delle multinazionali e degli investitori”.

Ma non sono solo gli Stati Uniti a rischiare lo stillicidio di posti di lavoro. Secondo gli ultimi studi della Tufts University, per citare solo uno dei molti esempi, il Tpp potrebbe condurre a una contrazione del pil soprattutto negli Usa e nel Giappone con rischi connessi di iniquità crescente in tutti i paesi coinvolti nell'accordo. I costi del Tpp, si conclude nello studio, sono destinati inoltre a farsi sentire asimmetricamente sul mercato del lavoro sulle due sponde del Pacifico. Facile intendere, allora, come la preoccupazione dei sindacati americani sia condivisa dalle organizzazioni della società civile di tutti i paesi coinvolti oltre che dai sindacati internazionali dell'Ituc e dai sindacati globali. In occasione della sigla del trattato, sono state molte le manifestazioni di protesta e non solo ad Auckland, sede del summit: da Kuala Lumpur a Santiago del Cile migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere conto ai loro governi sulle reali ragioni di un accordo che non sembra avere fra i primi obiettivi la creazione di occupazione e l'inclusione sociale.

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