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NEI PAESI FIRMATARI ABUSI E VIOLAZIONI RIMANGONO IMPUNITI


Il Tpp, il trattato di libero commercio che intende coprire il 38% dell’attività economica globale, è stato recentemente siglato fra Stati Uniti, Australia, Canada, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Peru, Brunei, Cile, Singapore e Vietnam. Sono però molti i paesi firmatari con standard lavorativi estremamente bassi. Nonostante gli impegni assunti dai negoziatori, l'esperienza del passato dimostra come il rafforzamento dei diritti non sia fra le priorità dei trattati. Le drammatiche condizioni dei lavoratori in molti contesti e la già dimostrata incapacità, o non volontà, dei governi di intervenire positivamente in materia lasciano presagire un peggioramento delle condizioni di lavoro in seguito all'entrata in vigore del Tpp.

Fra i paesi più problematici c'è senz'altro il Messico che, già a seguito dell'entrata in vigore del Nafta, ha visto aumentare gli abusi nei confronti dei sindacalisti, il dislocamento di lavoratori, soprattutto contadini, e i flussi migratori. I lavoratori messicani, che hanno successivamente invaso il mercato del lavoro statunitense, continuano ad essere sfruttati e a subire abusi proprio a causa del loro status irregolare. La presenza di questa consistente platea di lavoratori non protetti produce inoltre contraccolpi negativi sul mercato del lavoro statunitense alimentando la pressione dei salari verso il basso. Una situazione negativa che potrebbe addirittura peggiorare considerando che il Tpp non prevede clausole a salvaguardia dei lavoratori migranti né azioni contro i trafficanti di persone. Che il governo messicano possa intervenire con profitto in questa situazione appare poco più che utopico. E per convincersene basta dare un'occhiata agli indicatori del paese considerato come uno dei più violenti ed iniqui del continente: dal 2007 ad oggi, oltre 22 mila persone, di cui solo 5 mila nel 2014, risultano “desaparecidos”.

Ma non c'è il solo Messico nella lista dei paesi a rischio. Il Vietnam rappresenta un altro caso estremamente delicato con un governo che limita le libertà fondamentali fra cui la formazione di sindacati indipendenti e il diritto di sciopero. Lavoro minorile e tratta di esseri umani sono ulteriori caratteristiche di un paese che rappresenta la seconda fonte di approvvigionamento di prodotti tessili per gli Stati Uniti: il settore impiega circa due milioni di lavoratori ed esporta beni per quasi 10 miliardi di dollari. Il Tpp, nell'analisi dei sindacati, non sembra poter migliorare la situazione. Anche se sul diritto di sciopero alcune migliorie sono state effettivamente concordate, manca un sistema di sanzioni per gli imprenditori che non rispettano il diritto di libera associazione. Il governo del Vietnam si è inoltre tutelato con la concessione di un lasciapassare che manterrà la situazione invariata per i primi cinque anni dall'entrata in vigore del Tpp.

Lavoro forzato e minorile, tratta di esseri umani sono questioni aperte anche in altro paese firmatario del Tpp: la Malesia. La maggior parte delle vittime del lavoro forzato sono da rintracciarsi nell'ampio bacino dei lavoratori migranti, circa quattro milioni di persone, che rappresentano il 40% della forza lavoro nel paese. Una situazione difficilmente migliorabile anche in considerazione delle forti limitazioni al diritto di associazione e di contrattazione collettiva. Nel 2015, le autorità malesi hanno portato alla luce fosse comuni dove sono stati rinvenuti 139 corpi di lavoratori migranti. Nonostante questa drammatica situazione, il Dipartimento di Stato Usa ha recentemente promosso la Malesia accordandogli uno status in linea con i parametri richiesti dal Tpp. Anche in questo caso, sottolineano i sindacati, le clausole presenti nel trattato non appaiono sufficienti a risolvere una situazione tanto drammatica.

Situazione complessa anche nel sultanato del Brunei, paese governato dalla stessa famiglia da oltre sei secoli. La legge locale basata sulla Sharia prevede forti limitazioni sullo stesso diritto di libera espressione mentre le pene per i reati, fra cui figurano l'adulterio e il consumo di alcol, prevedono lo smembramento e la lapidazione. L'attivismo sindacale è proibito così come il diritto di sciopero e di contrattazione collettiva. Anche nel caso del Brunei, i lavoratori migranti rappresentano il gruppo più vulnerabile. Si tratta di oltre 85 mila persone sfruttate e soggette a ogni tipo di abuso che non troveranno alcun giovamento dall'entrata in vigore del Tpp che, ancora una volta, richiede cambiamenti generici senza mettere in piedi un sistema di valutazione indipendente.

Sono questi i casi più gravi registrati nel rapporto dell'Afl-Cio, ma anche in altri paesi firmatari si possono rintracciare molti elementi critici. E' il caso del Cile, dove la carenza di leggi adeguate a protezione dei lavoratori e dei loro rappresentanti ha fatto sprofondare il paese negli ultimi posti nella classifica Ocse sulla densità sindacale: il tasso di sindacalizzazione nel paese sudamericano è passato dal 30% registrato nel 1973 all'8% attuale. Anche in Perù la situazione appare inaccettabile, con fenomeni tollerati di lavoro forzato che riguardano soprattutto le popolazioni indigene, mentre Singapore continua a imporre notevoli limiti ai diritti di associazione, contrattazione collettiva e sciopero. Di fronte alla portata e all'estensione delle violazioni riscontrate nei paesi firmatari del Tpp, i sindacati americani richiedono l'applicazione di regole vincolanti sul lavoro, un sistema di monitoraggio indipendente e sanzioni adeguate per i trasgressori. In mancanza di tali meccanismi, si conclude nel rapporto, l'intero accordo commerciale risulterebbe minato alle sue fondamenta.

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