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TPP: MOLTE PROMESSE MA NESSUNA GARANZIA PER I LAVORATORI


Promesse vaghe e nessuna reale garanzia per i lavoratori. Il Tpp, il trattato di libero scambio appena siglato fra Stati Uniti e altri undici paesi del versante pacifico, offre ampie garanzie per le multinazionali ma quando si tratta di diritti dei lavoratori il testo dell'accordo risulta improvvisamente superficiale e poco concreto. Un artificio retorico a cui i sindacati americani appaiono avvezzi avendo già sperimentato le stesse modalità in occasione di precedenti trattati commerciali. Una storia già scritta, dunque, a cui l'Afl-Cio non vorrebbe assistere per l'ennesima volta. E' per questo che, attraverso la pubblicazione del rapporto “A gold standard for workers? The state of labor rights in Trans-Pacific Partnership countries”, i sindacati tornano a chiedere con forza la rinegoziazione del trattato e un nuovo processo negoziale che comprenda la partecipazione attiva dei rappresentanti dei lavoratori. In attesa di risposte concrete, anche le comunità statunitensi cominciano ad organizzarsi di fronte alla prospettiva di impatti negativi sul mercato del lavoro: oltre cento municipalità ed enti locali hanno recentemente approvato, o si accingono a farlo, delibere per opporsi al Tpp.

Le garanzie accordate ai lavoratori nell'ambito del Tpp non sono dunque in linea con quanto promesso dall'amministrazione Obama che aveva assicurato standard elevati in grado di promuovere i diritti e favorire l'aumento dei salari. Promesse, appunto, che, a conclusione del processo negoziale, sono rimaste tali. Gli impegni contenuti nel trattato, si legge nel rapporto dell'Afl-Cio, sono molto vaghi e l'applicazione delle disposizioni si basa soprattutto sulla buona volontà dei governi coinvolti. Nessun accordo vincolante, dunque, e l'esperienza del passato insegna come queste formule non celino altro che lo scarso interesse dei paesi membri ad assumere impegni reali per la difesa e la promozione dei diritti dei lavoratori. Nel caso di trattati quali il Cafta e il Nafta, le dichiarazioni di buoni intenti sono rimaste disattese e nulla induce a pensare che, anche nel caso del Tpp, le rassicurazioni dei negoziatori siano fondate.

Un esempio pratico? Gli Stati Uniti, sottolinea il sindacato americano, non hanno mai imposto sanzioni o multe a partner commerciali palesemente colpevoli di violazioni nell'ambito dei trattati di libero scambio. Il contenzioso aperto con il Guatemala nel 2008 si è arenato e i lavoratori sono tutt'ora in attesa di significativi sviluppi. Non si tratta, evidentemente, di un caso. Le modalità di presentazione dei reclami sono infatti molto differenti per le imprese e per i lavoratori. Le imprese possono infatti presentare i loro casi direttamente e autonomamente mentre i lavoratori devono far riferimento ai loro governi con la consapevolezza di andare incontro a procedimenti estremamente più lunghi e complessi. Una modalità non causale, secondo i sindacati americani che individuano un chiaro intento di dissuasione nei confronti delle vittime di violazioni.

Il Tpp non sarà dunque in grado di migliorare le condizioni dei lavoratori, al contrario di quanto i negoziatori continuano ad asserire. Per convincersene, è sufficiente analizzare la retorica dei promotori che definiscono il Tpp come il primo trattato a richiedere alle parti condizioni di lavoro accettabili in relazione ai salari minimi, agli orari lavorativi e alle condizioni di salute e sicurezza. Anche in questo caso, la mancanza di standard minimi vincolanti rende l'enunciazione del tutto insignificante. Ogni singolo paese membro detiene infatti piena discrezionalità sulla definizione degli standard minimi. In una simulazione dai tratti paradossali, ma forse neanche troppo, l'Afl-Cio rileva come un paese firmatario possa introdurre un salario minimo di un centesimo all'ora e turni lavorativi di venti ore ed essere ancora perfettamente in regola con gli impegni presi in sede negoziale.

Gli artifici retorici sviluppati nella scrittura dei trattati non finiscono qui ma si estendono sistematicamente lungo tutto il testo dell'accordo. E' il caso del lavoro forzato che, piuttosto che essere severamente proibito e sanzionato, dovrà essere semplicemente “scoraggiato” attraverso iniziative “adeguate”. Ma è anche il caso del rafforzamento dei diritti di associazione e contrattazione collettiva. Le promesse sembrano destinate a cadere nel vuoto, come avvenuto a seguito del trattato di libero scambio con la Colombia dove, negli anni successivi all'entrata in vigore, le violenze ai danni dei lavoratori e dei sindacalisti sono addirittura aumentate. Quanto avvenuto nel paese sudamericano rischia dunque di ripetersi nei paesi firmatari del Tpp.

L'attuale formulazione del Tpp risulta, nelle conclusioni dell'Afl-Cio, eccessivamente sbilanciata a favore del big business. Nonostante una maggiore cura del linguaggio e un numero consistente di promesse e rassicurazioni, il trattato non convince i sindacati che, grazie all'esperienza acquisita in materia, sono in grado di identificare i meccanismi retorici contenuti nel testo dell'accordo. Il governo degli Stati Uniti, in particolare, non si è mai impegnato concretamente a far rispettare le disposizioni a favore dei lavoratori contenute nei trattati mentre i meccanismi di rivendicazione dei diritti si sono già rilevati non funzionali. Ancora una volta l'evidenza della realtà si pone in contrasto con l'artificio della retorica: “Nessun lavoratore nell'economia globale – si legge nelle conclusioni del rapporto – ha ottenuto il diritto di formare un sindacato indipendente e contrattare collettivamente grazie all'entrata in vigore di un trattato di libero scambio internazionale; non c'è mai stata una singola multa o sanzione commerciale imposta dagli Usa per violazione dei diritti dei lavoratori nell'ambito degli accordi commerciali”.

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