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IL RUOLO CHIAVE DEL TPP NELLE ELEZIONI AMERICANE


Strano destino quello del trattato di libero scambio Tpp, siglato recentemente dagli Stati Uniti e altri undici paesi del versante pacifico e in attesa di ratifica. L'accordo commerciale doveva infatti rappresentare il fiore all'occhiello della presidenza Obama, il suggello ideale di una amministrazione che, nel corso dei suoi due mandati, è riuscita a rimettere in moto l'economia e a ridurre i tassi di disoccupazione. La sigla del Tpp avrebbe dovuto inoltre rappresentare il miglior biglietto da visita per il prossimo candidato democratico alla Casa Bianca. In un momento in cui la campagna elettorale americana entra nella sua fase più calda, il Tpp diviene però improvvisamente una patata bollente su cui nessuno vuol mettere le mani. Non ce le vogliono mettere i candidati repubblicani, nonostante la maggioranza pro business al Congresso si sia spesa molto per aprire ulteriormente il mercato statunitense, e non ce le vogliono mettere i democratici, nonostante gli sforzi del presidente Obama a favore di una veloce chiusura dei negoziati. E' così che da Donald Trump a Hillary Clinton, da Bernie Sanders a Ted Cruz, la corsa alla Casa Bianca sembra divenuta soprattutto una corsa per allontanarsi da qualsiasi possibilità di essere accostati al controverso trattato.

Le motivazioni che rendono il Tpp particolarmente impopolare, e quindi non propriamente funzionale in una campagna elettorale, le ha spiegate il presidente dell'Afl-Cio in un editoriale sulle colonne del Usa Today. La campagna elettorale in corso si caratterizza, ha spiegato il sindacalista americano, proprio per un fattore estremante insolito, ovvero l'elevato grado d'attenzione per un argomento che usualmente rimane al di fuori della sfera d'interesse dell'opinione pubblica: il commercio internazionale. E le motivazioni di questo fenomeno, che potrebbe muovere milioni di voti da una parte e dall'altra, non sono difficili da comprendere. La crisi del settore manifatturiero è ancora profonda negli Stati Uniti e le cause sono da rintracciarsi proprio nello sviluppo del commercio con paesi dove i lavoratori non sono tutelati e dove i costi di produzione sono di conseguenza bassi. Una concorrenza sleale, dunque, che ha portato alla crisi del made in Usa e alla scomparsa del posto di lavoro ben retribuito e tutelato. Così, se da un lato la classe media vede allontanarsi l'American Dream, dall'altro deve prendere atto con rammarico dell'aumento costante dei profitti aziendali, dell'ampliamento della forbice fra ricchi e poveri e della riduzione del potere d'acquisto.

Le ultime politiche dell'amministrazione Obama non hanno affrontato concretamente questa situazione e il nuovo impulso ai trattati commerciali transpacifici e transatlantici potrebbe aggravarla ulteriormente. I nuovi dati sul mercato del lavoro americano non fanno altro che confermare la tendenza. Sono oltre 240 mila i posti di lavoro creati nel mese di febbraio con un tasso di disoccupazione stabile al 4,9%. Dati che hanno suscitato reazioni positive dalle parti della Casa Bianca ma l'altro lato della medaglia non è così splendente come ci si potrebbe aspettare. E' il lato dell'andamento salariale che, nel mese di febbraio, ha fatto registrare un'ulteriore scivolata. Secondo l'ultimo rapporto dell'Epi, l'Economic Policy Institute, l'andamento salariale registrato in tutto il corso del 2015 dimostra come la ripresa sia tutt'altro che solida. Al contrario, la maggior parte dei profitti dell'economia continua a defluire, senza soluzione di continuità da 35 anni a questa parte, nelle tasche dell'1% della popolazione con i redditi più alti e nelle casse delle grandi aziende.

Le conclusioni non sono difficili da trarre per gli elettori americani: i lavori di qualità nel manifatturiero continuano ad essere de-localizzati all'estero mentre agli americani non rimangono che lavori di bassa qualità negli altri settori con i tassi di disoccupazione che diminuiscono insieme ai salari. Un'equazione sottolineata da Trumka dalle colonne del Usa Today: “Oltre 60 mila fabbriche – ha spiegato il leader del sindacato americano – hanno chiuso negli ultimi 10 anni, al ritmo di quindici fabbriche al giorno; oltre cinque milioni di posti di lavoro sono stati persi da quando la delocalizzazione produttiva è divenuta la principale strategia praticamente di ogni amministratore delegato”. La crescente opposizione al trattato e la preoccupazione crescente degli elettori nascono dunque dall'esperienza dei precedenti accordi commerciali che hanno contribuito alla crisi del mercato del lavoro americano. E' per questo che il sindacato chiede al Congresso non solo di non ratificare il Tpp ma di procedere alla revisione dei trattati già entrati in vigore e che hanno messo alle corde i lavoratori americani: “Il problema – ha concluso Trumka – non è il commercio, ma le regole arbitrarie che favoriscono i profitti alle spese dei cittadini comuni; questo è il motivo per cui gli elettori sono arrabbiati ed è anche il motivo per cui una maggioranza crescente si schiera contro i cattivi trattati commerciali”.

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