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CETA: LA VALLONIA CEDE MA L'OPPOSIZIONE RESTA

La favola della Vallonia sembrerebbe destinata a un non lieto fine. In meno di una settimana, i “piccoli valloni”, che avevano osato sfidare i giganti del big business globale e Bruxelles bloccando la firma del Ceta, sono stati riportati all'ordine. Europa e Canada dovrebbero dunque tornare a incontrarsi per firmare, in via provvisoria, il controverso trattato commerciale. La vicenda della Vallonia non sarà però completamente cancellata dagli annali. Il blocco del parlamento belga ha infatti permesso di posticipare il summit previsto per giovedì scorso attirando ulteriormente l'attenzione sulle procedure democratiche dell'intero processo negoziale. I valloni avrebbero inoltre ottenuto una serie di assicurazioni, fra cui quella che la Corte Europea di Giustizia sarà interpellata sulla legalità del sistema Isds, o Ics, relativo alle dispute con le multinazionali. La parola passa ora al parlamento belga che dovrà ufficializzare la propria posizione in vista di un nuovo incontro con la delegazione canadese per la firma del trattato.

Che la Vallonia potesse rimanere da sola in piedi di fronte ai poteri forti del big business e alle pressioni dell'UE ha rappresentato per molti una concreta speranza anche se gli attacchi al parlamento vallone sono apparsi subito molto decisi. Alessia Mosca eurodeputata Pd, membro della commissione commercio internazionale dell'Unione Europea, aveva immediatamente denunciato la presenza di “un problema di forma democratica se un piccolo parlamento impedisce al Parlamento europeo di esprimere le proprie posizioni”. Il problema, dal punto di vista dei negoziatori, non risiede quindi nella qualità del processo di negoziazione, esclusivo e addirittura segreto, quanto nel fatto “che lo 0,6% della popolazione europea possa bloccare un'intesa approvata da tutta Europa”. Tradotto: è tutta colpa della Vallonia, rea di aver rifiutato un ultimatum in nome della trasparenza e della qualità a tutela dei propri cittadini. Una posizione di non allineamento estremamente pericolosa visto che sarebbe addirittura il futuro dell'Unione a essere a rischio, come la stessa Mosca ha voluto precisare sostenendo che “senza l'ok al Ceta, l'Ue non ha futuro”.

E' il suono delle campane a morto che siamo oramai abituati ad ascoltare. L'Ue, secondo l'interpretazione dei negoziatori, sarebbe condannata a pagare in termini di Pil, di perdita di posti di lavoro, credibilità e fiducia sui mercati. La strategia di influenzare le decisioni democratiche attraverso la diffusione di messaggi apocalittici non sembra però funzionare, come accaduto nel caso del referendum sulla Brexit. Anche perché, come sottolineato dal professor Alberto Bagnai dalle pagine di Conquiste in una recente intervista, se una decisione adottata dai cittadini europei, in conformità alle prassi democratiche stabilite, dovesse effettivamente minare le basi dell'Unione, il problema sarebbe da individuare nei Trattati, e non certo nella prassi democratica. Una vera strategia del “terrore”, dunque, basata su numeri approssimativi dati in pasto all'opinione pubblica: i fantasmi agitati rispetto alla perdita di posti di lavoro e di Pil si basano su studi di parte, ampiamente criticati e contraddetti da studi indipendenti pubblicati nei mesi passati dalle organizzazioni della società civile e da esperti di settore.

Per quanto riguarda il deficit di democrazia lamentato dai negoziatori, è da sottolineare come il Ceta, negoziato a porte chiuse e senza il coinvolgimento dei rappresentanti della società civile, abbia scatenato le proteste dell'opinione pubblica europea con milioni di cittadini che hanno invaso le piazze delle maggiori capitali europee per dire no ai trattati di nuova generazione. Sono oltre 3,5 milioni le firme raccolte dalla European Initiative against Ttip and Ceta per sostenere questa posizione. La mobilitazione delle organizzazioni della società civile e dei cittadini è allora da considerarsi come una storia positiva dell'Unione Europea, come ha sottolineato l'eurodeputato verde Bart Staes: “Il movimento che sta crescendo intorno ai trattati di libero commercio rappresenta un evento positivo perché sta unendo l'Europa in un momento di grandi divisioni a livello politico; l'Europa rischia di cadere a pezzi – ha concluso l'eurodeputato belga - ma il movimento che protesta contro i trattati di nuova generazione, che sono nella loro stessa essenza antidemocratici, sta riuscendo a mettere insieme associazioni di consumatori, sindacati e comuni cittadini”. La miglior ricetta per il rilancio dell'Unione Europea, insomma, sembra essere proprio questa: una massiccia dose di democrazia per far tornare i cittadini a credere in un progetto di integrazione cruciale per le sorti dell'intera umanità.

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