TISA: ATTACCO ALLE NORMATIVE NAZIONALI SUI SERVIZI
Trasporti, energia, vendita al dettaglio, e-commerce, spedizioni, telecomunicazioni, banche, sanità, istruzione privata. Sono questi alcuni dei settori che il Tisa (Trade in Services Agreement), il trattato commerciale in discussione fra l'Unione Europea e altri ventidue paesi nel mondo, intende rivoluzionare. Una rivoluzione silenziosa, considerando che i negoziatori si stanno incontrando segretamente a Ginevra con l'impegno a non rivelare i testi dell'accordo. Anche in questo caso, come accaduto con il Ttip e il Ceta, i rappresentanti della società civile sono stati tenuti a debita distanza dai processi negoziali. I colloqui sono iniziati nel 2012 e la nuova dead line per la chiusura dell'accordo è prevista per la fine del 2016. Il rischio di aprire una stagione di liberalizzazioni selvagge, a vantaggio dei fornitori di servizi internazionali e a danno di lavoratori, consumatori e cittadini, è dunque dietro l'angolo. L'Ituc, la Confederazione Internazionale dei Sindacati, in seguito a recenti leaks sul testo dell'accordo, ha pubblicato un dossier in cui denuncia la deriva antidemocratica dei processi negoziali.
Lo scopo del Tisa, si sottolinea nel rapporto Ituc, è quello di liberalizzare gli scambi internazionali di servizi e di impostare regole vincolanti per i paesi partecipanti all'accordo che, insieme, rappresentano il 70% del Pil globale. A differenza del Ttip e del Ceta, il Tisa non può nascondersi dietro “la giustificazione” dell'eliminazione delle barriere tariffarie, considerando che i servizi non sono, al contrario dei beni di consumo, normalmente soggetti a dazi doganali. E' allora evidente come il mirino dei negoziatori sia puntato sull'impianto delle normative locali, e in particolare sulle restrizioni alla proprietà estera, sui requisiti di licenza, sui diversi standard di qualità, sui regolamenti finanziari e sui servizi pubblici. Il trattato commerciale si pone l'obiettivo di agevolare l'ingresso delle imprese di servizi globali nei mercati nazionali e di scardinare le normative che potrebbero interferire con le attività commerciali delle società: una tendenza che l'Ituc definisce come “Uberizzazione” del mercato del lavoro.
L'eventuale approvazione del Tisa garantirebbe, insomma, maggiori poteri alle imprese e causerebbe l'indebolimento dei governi, con il conseguente annullamento anche dei limitati progressi compiuti sulla regolamentazione delle banche e dei conglomerati della finanza. I recenti leaks hanno messo in evidenza come le multinazionali potranno accedere a nuovi mercati ottenendo nuove prerogative. Secondo le “indiscrezioni” trapelate dalle segrete stanze e riportate dall'Ituc, il trattato commerciale impone ai governi di “consultarsi” con le multinazionali in materia normativa. Se il Tisa venisse ratificato, risulterà inoltre sempre più difficile per i governi recedere dai contratti di privatizzazione, anche in caso di risultati insoddisfacenti. A trarre beneficio dal nuovo regime saranno compagnie come Uber, che avranno la possibilità di espandersi anche in quei paesi che finora hanno rifiutato un modello basato su condizioni di lavoro inadeguate, e, in generale, le imprese multinazionali, che potrebbero acquisire il diritto di spostare i loro lavoratori in giro per il mondo senza l'obbligo di rispettare le normative locali. A fare le spese di questa situazione saranno, in primo luogo, lavoratori e consumatori.
La denuncia dell'Ituc si accompagna all'appello a riaprire i negoziati in maniera trasparente e democratica: “Il Tisa è una buona notizia per le banche e per i paradisi fiscali, - ha rilevato Sharan Burrow, segretario generale dell'Ituc - e per alcune delle aziende più irresponsabili del pianeta, visto che anche le autorità governative sarebbero impossibilitate a sostenere le società di servizi locali con conseguenti danni alle piccole imprese e alle comunità locali, ed è una cattiva notizia per le famiglie dei lavoratori e per la stessa funzione del governo democratico; il Tisa, nella sua forma attuale, è del tutto inaccettabile e se vi è la necessità di un accordo sul commercio dei servizi, i negoziatori dovrebbero ricominciare daccapo, con un processo aperto e democratico e senza lobbisti aziendali a dettare legge”.