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BANGLADESH: ONDATA REPRESSIVA CONTRO LAVORATORI E SINDACATI

Una settimana di proteste, oltre 1.600 lavoratori sospesi, sindacalisti arrestati, un clima di tensione e intimidazione che rischia di soffocare il già duramente provato movimento sindacale locale. Sono questi alcuni dei drammatici risultati delle recenti proteste avvenute a fine dicembre in Bangladesh dove migliaia di operai del settore garment hanno scioperato per chiedere un aumento salariale. Gli episodi avvenuti a fine anno e il perdurare della tensione fra autorità governative e organizzazioni dei lavoratori hanno convinto le organizzazioni sindacali mondiali a intervenire per impedire che i timidi ma evidenti progressi, ottenuti a seguito dell'accordo internazionale sulla sicurezza siglato all'indomani della tragedia di Ranza Plaza, siano azzerati. In difesa del movimento sindacale e dei lavoratori del Bangladesh sono dunque scesi in campo i sindacati globali dell'industria, IndustriAll, e dei servizi, Uni, quello americano dell'Afl-Cio, oltre che molte organizzazioni non governative, fra cui la Campagna Abiti Puliti.

Le agitazioni nelle fabbriche tessili sono iniziate verso la metà di dicembre con uno sciopero in un distretto di Dacca. Le proteste degli operai, che chiedevano un aumento del salario minimo, si sono presto diffuse in altre sessanta fabbriche del paese coinvolgendo decine di migliaia di persone. Il salario minimo di un operaio del garment del Bangladesh si attesta a 68 dollari al mese, limite stabilito dal governo nel 2013. Un compenso inadeguato, secondo i sindacati locali e gli organismi internazionali, sia in considerazione del costo della vita, visto che Dacca è la settantunesima città più costosa del mondo al pari di Montreal, sia in relazione alle retribuzioni dei paesi limitrofi: il salario minimo in Cina si attesta a 265 dollari al mese, in Indonesia a 220, in Vietnam a 131, in India a 128, in Cambogia a 100. Secondo una recente indagine di Forbes, ci vorrebbero i salari di 16 mila lavoratori del Bangladesh per eguagliare lo stipendio di uno dei “top 350” amministratori delegati statunitensi.

In base a queste considerazioni, i rappresentanti dei lavoratori sono partiti da una richiesta di aumento del salario minimo a 191 dollari al mese. Le proteste hanno immediatamente preso una piega drammatica con la polizia impegnata a disperdere i manifestanti con l'ausilio di proiettili di gomma. Dopo cinque giorni di sciopero e una lunga sequela di arresti fra i dimostranti, le fabbriche hanno riavviato la produzione ma per oltre 1600 lavoratori che avevano partecipato allo sciopero i cancelli sono rimasti chiusi. A nulla sono valse le proteste dei sindacati che chiedevano l'annullamento della misura.

Il licenziamento degli operai ha rappresentato solo il primo atto dell'escalation di intimidazione nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Le autorità hanno infatti intrapreso un'azione repressiva che ha condotto in carcere un numero imprecisato di lavoratori e almeno undici sindacalisti coinvolti nelle azioni di protesta. Una repressione che non ha escluso operatori dei media e di organizzazioni non governative che hanno accusato le autorità del Bangladesh di operare detenzioni arbitrarie ricorrendo anche alla tortura. La violenta iniziativa del governo sembra aver prodotto i primi risultati con alcuni sindacati che, pur non coinvolti direttamente nello sciopero, avrebbero deciso di sciogliersi nel timore di rappresaglie. Un duro colpo per il movimento del lavoro organizzato in Bangladesh il cui sviluppo era stato recentemente stimolato dall'accordo internazionale sulla sicurezza siglato dai sindacati globali, dalle imprese occidentali e dall'Ilo, l'Organizzazione Internazionale del Lavoro.

In risposta all'escalation del governo e degli imprenditori, la campagna Abiti Puliti, in congiunto con altre 25 organizzazioni della società civile, ha inviato una lettera ai maggiori brand internazionali operanti in Bangladesh, fra cui Zara, Gap, H&M, chiedendo di far pressione su Dacca e ottenere il rilascio immediato dei detenuti e la fine della repressione. Posizione dura anche quella dei sindacati americani dell'Afl-Cio che hanno chiesto sia al governo degli Stati Uniti sia all'Unione Europea di rivedere il programma di aiuti nei confronti dei paesi in via di sviluppo per porre pressione sul governo di Dacca. Valter Sanches, segretario generale di IndustriAll, il sindacato mondiale dell'industria, ha invitato il governo del Bangladesh a rilasciare i sindacalisti e i lavoratori detenuti: “La repressione governativa – ha detto Sanches – non metterà il bavaglio ne a loro ne a noi perché i lavoratori del Bangladesh hanno il diritto di organizzarsi e avere un salario dignitoso; il governo, se non è in grado di trattare i suoi lavoratori in maniera umana, rischia di veder collassare la sua preziosa industria del garment”.






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