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MADE IN USA: TRUMP RINUNCIA AL TPP


Prove tecniche di riconciliazione. L'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca aveva suscitato molte preoccupazioni fra i sindacati americani che avevano sostenuto, in grande maggioranza, la candidatura della democratica Hillary Clinton. Il candidato repubblicano appare infatti imprevedibile, senza alcun background politico che ne certifichi le posizioni e gli impegni, incline a roboanti annunci populisti conditi da sfumature razziste e maschiliste. Un profilo indigesto al mondo del lavoro organizzato che aveva deciso di puntare tutto sui democratici nonostante un notevole punto di frizione: il netto disaccordo in tema di trattati commerciali. L'insistenza di Barack Obama sull'approvazione dei controversi accordi di libero scambio Tpp e Ttip aveva infatti scatenato le proteste dei sindacati che paventavano un'ulteriore perdita di posti di lavoro, memori degli effetti del Nafta sull'economia americana. Un punto su cui Obama non ha mai voluto sentir ragioni.

La critica nei confronti dei trattati commerciali è divenuta invece un cavallo di battaglia nella campagna elettorale di Donald Trump che ha ripetutamente promesso di recedere dal Tpp, ancora in attesa di ratifica da parte del Congresso, e di rinegoziare il Nafta. Promesse a cui i sindacati non avevano creduto ma che avevano convinto molti lavoratori ad accordare il voto al candidato repubblicano. Una vera spaccatura nel mondo del lavoro organizzato statunitense che potrebbe ora risanarsi proprio in seguito ai primi passi ufficiali del neo presidente. L'ordine esecutivo, firmato da Trump, per il ritiro formale degli Stati Uniti dal trattato transpacifico Tpp avviene infatti in concomitanza con gli incontri avvenuti con i leader dei maggiori sindacati americani e con i rappresentanti delle grandi aziende. L'obiettivo dichiarato è quello di rilanciare il manifatturiero americano, dilaniato da anni di outsourcing, agevolato proprio dai trattati commerciali. E' in questo contesto che si registra anche la conferma della volontà della Casa Bianca di rinegoziare il Nafta, il trattato del Nord America che coinvolge il Canada e soprattutto il Messico.

E proprio sulla questione delle delocalizzazioni in Messico, Trump aveva preso una posizione netta, ancor prima dell'insediamento ufficiale, ponendo pressioni sulle case automobilistiche americane affinché tornassero a investire negli Stati Uniti. Un invito immediatamente accolto da GM, che ha annunciato di voler investire un miliardo di dollari nei suoi impianti statunitensi con l'obiettivo di creare 7 mila nuovi posti di lavoro, suddivisi fra le catene di produzione e le posizioni nell'information technology. L'annuncio della GM segue quello della Fca, che prevede un miliardo di dollari di investimenti negli Usa e quello della Ford che, rinunciando all'investimento previsto in Messico per 1,6 miliardi di dollari, ha promesso di investire 700 milioni di dollari per la creazione di 700 nuovi posti di lavoro nella fabbrica di Flat Rock. Dopo aver commentato positivamente gli annunci delle big three di Detroit, il presidente dell'Uaw, Dennis Williams, ha elogiato Trump per aver deciso di rinunciare al Tpp definendo l'ordine presidenziale come “una vittoria per i lavoratori americani e le famiglie”.

Fra i leader sindacali incontrati da Trump, c'è anche Richard Trumka, presidente dell'Afl-Cio, che, dopo aver condotto una forte campagna a favore di Hillary Clinton, ha commentato positivamente i primi passi del nuovo presidente: “L'annuncio che gli Stati Uniti si ritirano dal Tpp e cercheranno di rinegoziare il Nafta – ha detto Trumka - è un importante primo passo verso una politica commerciale che funzioni per i lavoratori ma è solo il primo di una serie di cambiamenti politici necessari per costruire un'economia globale equa e giusta; noi continueremo la nostra campagna implacabile per creare nuove norme commerciali ed economiche che escludano privilegi speciali per gli investitori stranieri, fra cui Big Pharma, che proteggano le preziose risorse naturali del nostro pianeta e garantiscano un'equa retribuzione, condizioni di sicurezza e una voce sul posto di lavoro per tutti i lavoratori”.

Un pieno successo per Trump che incassa anche i complimenti del presidente dei Teamsters, James P. Hoffa e quelli, forse meno attesi, di Bernie Sanders che ha addirittura teso la mano al nuovo presidente: “Ora è il momento di sviluppare – ha dichiarato l'ex candidato democratico - una nuova politica commerciale che aiuti le famiglie dei lavoratori, non solo le multinazionali; se il presidente è serio nel voler aiutare i lavoratori americani, allora sarei felice di collaborare con lui; se Trump è seriamente contrario all'outsourcing – ha concluso Sanders con una nota polemica - può aprire la strada chiudendo le proprie fabbriche dello sfruttamento in Bangladesh, Cina e Messico e retribuire i suoi lavoratori americani con un salario dignitoso”.



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