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UE APPROVA IL CETA IN ATTESA DEL VOTO DEI PARLAMENTI NAZIONALI

Il Parlamento europeo dice sì al Ceta, l'accordo di libero scambio stipulato, a porte chiuse, fra le delegazioni dell'Unione Europea e del Canada. Un via libera annunciato e garantito dal voto favorevole di 408 parlamentari che hanno così avuto partita vinta rispetto ai 254 contrari e ai 33 astenuti. Un'approvazione controversa, avvenuta sullo sfondo delle proteste di molte organizzazioni della società civile europee e canadesi e degli attivisti che, fin dalle prime ore del mattino, hanno manifestato di fronte la sede del Parlamento di Strasburgo. Il Ceta entra dunque in vigore in modalità provvisoria, in attesa della ratifica di 38 parlamenti nazionali e regionali.

L'attenzione rispetto all'iter del Ceta è particolarmente alta nel mondo sindacale proprio per l'impatto che l'accordo potrebbe avere sul mondo del lavoro. Nell'ottobre scorso la Ces, la Confederazione Europea dei Sindacati, e il Canadian Labor Congress hanno espresso, attraverso un documento congiunto, profonda preoccupazione nei confronti di un accordo basato su una metodologia negoziale che esclude, sistematicamente, i rappresentanti dei lavoratori. Secondo la Ces, il libero commercio, se propriamente regolato, è infatti foriero di crescita e di creazione di posti di lavoro ma i portatori di interesse dovrebbero essere coinvolti in egual misura nella gestazione dei trattati di nuova generazione. Le preoccupazioni dei sindacati nascono proprio dalla posizione di privilegio accordata, in fase negoziale, ai lobbisti del big business che sembrano in grado di influenzare in maniera determinante i decisori politici.

Una delle dimostrazioni di questa influenza indebita è senz'altro rappresentata dai tribunali sovranazionali Ics che, seppur riformati rispetto agli Isds, promettono di rappresentare uno strumento di assoluta rilevanza nelle mani delle multinazionali intenzionate a citare in giudizio gli Stati nazionali. A differenza degli Isds, gli Ics sono tribunali pubblici composti da giudici indipendenti nominati da Canada e Unione Europea ma i rischi per il pubblico, secondo alcune recenti ricerche, potrebbero rimanere invariati. Il Ceta nasconde, da questo punto di vista, un'ulteriore insidia. Secondo un recente rapporto del Transnational Institute, il trattato consentirebbe l'accesso agli Ics a circa 42 mila aziende statunitensi con affiliate in Canada, tra cui giganti dell’agroalimentare come Coca Cola, McDonald, Cargill, ConAgra foods, Monsanto. L’81% delle imprese statunitensi attive in Europa presenterebbero infatti i requisiti per essere definite “investitori canadesi”.

Secondo Making sense of Ceta, un recente rapporto di varie organizzazioni della società civile, alle garanzie accordate alle multinazionali non corrispondono pari garanzie a protezione dei lavoratori. Un sistema a due pesi e due misure dunque. Il Capitolo sul lavoro del trattato, si sottolinea nel rapporto, non introduce misure sanzionatorie in grado di far rispettare gli standard internazionali dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro o tantomeno prevede un meccanismo altrettanto rilevante come gli Ics per tutelare i diritti dei lavoratori in sede legale. In questo contesto è da sottolineare come il Canada non abbia ratificato la Convenzione n.98 sul diritto di associazione e contrattazione collettiva e come il Ceta non preveda alcun obbligo di ratificazione di questa o altre convenzioni.

A seguito dell'approvazione del Ceta, la Ces continuerà a monitorare l'iter del trattato, come ha sottolineato il segretario confederale Liina Carr: “Durante la fase successiva di applicazione provvisoria del Ceta – si legge in un comunicato della sindacalista della Ces - i sindacati rimarranno vigili per garantire che gli interessi dei lavoratori non siano danneggiati e che i profitti degli investitori non abbiano la precedenza”. La Ces continuerà dunque a insistere per l'adozione di una nuova “Agenda progressista per il commercio” che protegga e migliori i diritti dei lavoratori nei paesi firmatari, che escluda i servizi pubblici dagli accordi commerciali, che assicuri maggiore trasparenza nei negoziati. Particolare attenzione è posta ad eventuali, quanto auspicabili, meccanismi di monitoraggio e sanzioni che permettano ai lavoratori di far valere i propri diritti: “Non possiamo accettare – conclude la la Carr – che alle multinazionali siano garantiti diritti che ai lavoratori sono invece negati”.



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