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Un appello per il mondo dopo il virus

Come immaginare il mondo dopo il coronavirus? In attesa della fine della pandemia, sono molti gli interrogativi che si pongono di fronte a quella che appare essere la volontà diffusa dei governi mondiali: ripristinare lo status quo precedente alla diffusione del virus. Quasi si volesse relegare l’emergenza sanitaria in corso ad una casualità, a uno scherzo del destino da cui è possibile risvegliarsi come fosse un brutto sogno. Eppure, le analisi e le riflessioni sulle cause di questa ed altre pandemie sono state fatte e le conclusioni condivise da medici, epidemiologi, ambientalisti sembrano lasciar spazio a pochi dubbi: c’è la mano dell’uomo dietro la comparsa e la diffusione del corona virus così come dietro circa il 70% degli agenti patogeni umani, tra cui HIV, Ebola, Influenza, MERS e SARS, emersi quando gli ecosistemi forestali sono stati invasi e i virus sono passati dagli animali alle persone. Anche gli allevamenti intensivi risultano essere potenziali serbatoi di nuove malattie come l’influenza suina e l’influenza aviaria.

Tornare allo status quo precedente all’inizio della pandemia significherebbe dunque curare i sintomi ma non la malattia. Significherebbe continuare a vivere in uno stato di rischio permanente. Significherebbe, infine, aver perso l’unica grande occasione che la pandemia ci sta offrendo: quella, appunto, di non tornare necessariamente al «come eravamo prima» ma piuttosto intraprendere con decisione un percorso di transizione verso sistemi produttivi equi ed ecologici. A chiedere il cambio di paradigma ai governi di tutto il mondo, un appello planetario lanciato da oltre 500 organizzazioni della società civile internazionale, appartenenti a oltre 50 paesi, fra cui Navdanya International, Ifoam, Isde-Medici per l’ambiente, e sottoscritto da centinaia di attivisti fra cui Vandana Shiva, Adolfo Perez Esquivel, Maude Barlow.


I firmatari sottolineano come dietro le politiche e gli interventi che determinano situazioni di potenziale rischio per l’umanità non ci siano errori ma piuttosto un sistema produttivo che punta, per sua costituzione, al massimo profitto, noncurante degli effetti diretti e collaterali sul pianeta e su tutte le specie che lo abitano. I costi di tali scriteriate politiche industriali non li paghiamo solo in termini di inquinamento, contaminazione e malattie, considerando anche la debilitazione forzata del nostro sistema immunitario, ma anche direttamente di tasca nostra grazie alle tasse che versiamo per i sussidi alle imprese inquinanti, per il mantenimento della sanità pubblica e per le opere di bonifica ambientale. I firmatari dell’appello si impegnano dunque a fare pressione presso le rispettive autorità nazionali e locali per reclamare il passaggio da un’economia dello sfruttamento a una economia della cura. Per favorire la fase della transizione, saranno necessarie una serie di azioni, si conclude nell’appello, coordinate a livello planetario fra cui proteggere la biodiversità e le foreste, revocare i sussidi all’agricoltura industriale vietando i sistemi monoculturali ad alto input chimico, promuovere l’agroecologia e sostenere le produzioni biologiche e locali.



E’ possibile sottoscrivere l’appello sul sito www.navdanyainternational.org

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