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Don Ciotti: i veri cattolici devono agire per una conversione ecologica e il reato di ecocidio va in

Intervista con il fondatore di Libera che ha recentemente fondato una nuova organizzazione per promuovere i dettami ambientalisti della Laudato sì


Religione ed ecologia. Un binomio relativamente nuovo che ha registrato, a seguito della pubblicazione della “Laudato sì” di Papa Francesco, un nuovo decisivo impulso e non solo nell'ambito del cattolicesimo, come conferma Vandana Shiva che ha definito l'enciclica come “il distillato di 10 mila anni di civiltà indiana”. L'ecologia rappresenta, da questo punto di vista, un ponte capace di unire spiritualmente civiltà lontane fra loro nel comune obiettivo di salvaguardare il nostro pianeta e tutti i suoi abitanti. All'inizio di un decennio che sarà decisivo per il futuro dell'umanità, Terra Nuova ha deciso di intervistare don Luigi Ciotti, una figura che ha saputo unire, negli anni, una forte carica morale e spirituale a un'azione decisa nella quotidianità a favore degli ultimi, degli emarginati e degli oppressi. Una lunga lista a cui si aggiunge oggi anche il pianeta terra, oppresso da un modello produttivo miope, orientato al massimo profitto nel breve termine, incurante dei danni arrecati al pianeta e alle forme di vita che lo abitano. La giustizia di Dio deve allora necessariamente pervenire attraverso l'opera dell'uomo: il reato di ecocidio, ci dice don Ciotti, dovrebbe essere inserito non solo nel catechismo ma anche nella Costituzione italiana. Don Ciotti invia infine un messaggio ai cattolici, chiamandoli all'azione perché «una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo».





Don Luigi Ciotti, parlando di ecologia non si può non partire dalla Laudato sì di Papa Francesco. Lei ha recentemente dato vita a una nuova associazione, “Casacomune”, una scuola di formazione, di dialogo culturale e incontro sociale per promuovere i valori e le azioni dell’ecologia integrale e della giustizia, ispirata proprio all’enciclica del Papa. Ci può raccontare questa nuova avventura?


È un’avventura tanto impegnativa quanto appassionante perché animata dalla speranza e dall’impegno a costruire un futuro diverso, fondato su una più profonda consapevolezza del nostro essere persone aperte, in relazione, dunque corresponsabili le une delle altre e, tutte insieme, abitanti di una pianeta che ci nutre e accoglie come una madre e una casa comune.



Nel recente Tribunale Monsanto, i giudici hanno sentenziato che se ci fosse un reato di ecocidio la Monsanto sarebbe da considerarsi colpevole. Quello di ecocidio è un concetto ripreso recentemente dal Papa che ha dichiarato che si sta pensando di introdurre nel Catechismo il peccato contro l’ecologia. Lei è d’accordo?


Sono totalmente d’accordo con Papa Francesco. La Terra ha un’anima, è un organismo vivente: sfregiarla, depredarla o avvelenarla è un crimine contro la vita, la sua e quindi quella di tutti noi. È anche molto importante, a riguardo, la sollecitazione di alcuni giuristi e movimenti impegnati nella difesa della Terra affinché la natura diventi soggetto giuridico, soggetto a cui riconoscere, al pari delle persone, un’intrinseca e inviolabile dignità. In Ecuador e in Bolivia – Paesi non a caso sfruttati e depredati dalle multinazionali occidentali – questo riconoscimento è già avvenuto, tanto che dal decennio scorso i diritti della natura sono inclusi nelle loro Costituzioni.



Stiamo assistendo a una crescita esponenziale dell’interesse per l’agroecologia, non solo come insieme di pratiche agricole ecologiche ma come veicolo per riconnettere i sistemi produttivi a quelli sociali, culturali e economici nel segno dell’equità e della giustizia sociale. Il biologico è, in questo senso, considerato un consumo di élite, che non tutti si possono permettere. I poveri, insomma, devono accontentarsi del cibo spazzatura. Esiste un “bio” per tutti? E quanto sono importanti le scelte alimentari per la nostra sopravvivenza e quella del pianeta?


Dobbiamo impegnarci affinché ci sia, un “bio” per tutti. Ma per arrivarci occorre, appunto, una radicale riforma del sistema economico e dunque della politica, che dovrebbe essere guida di un’economia orientata al bene comune e non, come si è perlopiù ridotta, strumento di un’economia che obbedisce alla legge del profitto, obbiettivo perseguito senza freni e scrupoli, anche quando profitto vuol dire povertà o morte di milioni di persone. “Economia che uccide”, l’ha infatti definita Papa Francesco.



Il sistema agroindustriale che domina i mercati globali si basa su una logica di sfruttamento che riguarda sia le risorse del pianeta sia i lavoratori del settore. Lei si è molto impegnato sul tema dello sfruttamento degli immigrati che rappresentano, anche in Italia, le vittime esemplari di questo sistema iniquo e ipocrita.


Il cambiamento deve partire dagli ultimi, dai grandi esclusi e dalle vittime di questo sistema: i poveri, i giovani e appunto gli immigrati. Persone che sono arrivate qui perché costrette a farlo da un’economia globale che ha provocato guerre e carestie in gran parte del pianeta, ma rappresentate dalla propaganda “sovranista” come nemiche, salvo essere ridotte a ingranaggi della macchina economica, impiegate in lavori durissimi, prive di tutele e pagate in maniera irrisoria, forme di sfruttamento se non di schiavitù. È la grande vergogna dell’Occidente, non minore di quella che rese possibile i “fasti” della Rivoluzione industriale, quando per ovviare alla carenza di forza-lavoro sedicenti democrazie occidentali deportarono dall’Africa milioni di persone per destinarle al lavoro in fabbrica.



Lei ha recentemente dichiarato: “Una società forte accoglie e riconosce la fragilità degli altri”. Quando ciò non accade assistiamo a episodi di prepotenza anche nei confronti del nostro pianeta che portano a successive esposizioni della nostra fragilità, come è il caso dei cambiamenti climatici. Quanto è importante oggi pensarsi custodi, e non più dominatori del creato?


È fondamentale, ma per pensarsi in maniera diversa bisogna prima diventare realmente diversi, essere diversi nei fatti, nelle azioni, nei comportamenti. La “conversione ecologica” di cui parla Papa Francesco non è un’operazione astratta, teorica, ma una trasformazione che scaturisce da una radicale messa in discussione del nostro rapporto con gli altri e con la terra, un rapporto appunto dettato dall’egocentrismo, della presunzione di essere al centro di tutto e di potere disporre di tutto quello che ci ruota attorno: cose e persone. “Conversione ecologica” che è l’equivalente, sul piano sociale ed esistenziale, della rivoluzione copernicana sul piano scientifico: Copernico scoprì che la Terra non è al centro dell’universo ma ruota come gli altri pianeti attorno al sole, fonte di vita; la conversione ecologica è riconoscere che l’“individuo” in quanto realtà chiusa e autosufficiente – individuo significa appunto “indivisibile” – è una superstizione e un idolo: siamo parti di un Tutto che ci dà la vita e che siamo chiamati a custodire e a nutrire, ciascuno secondo le proprie possibilità. La chiave per comprendere la “Laudato sì” è la frase “Tutto è connesso”, ripetuta non a caso più volte dal Papa. Si tratta di una rivoluzione profonda, insomma, che necessita di tempi lunghi. Ma una rivoluzione che la distruzione operata dall’apparato tecnico-economico, con i suoi strumenti di appropriazione e sfruttamento, rende urgente, non più prorogabile.



L’Amazzonia rappresenta uno dei simboli del saccheggio umano ai danni della natura. Perché è stato importante un Sinodo speciale? Nel documento finale si mette in relazione il malessere dei poveri a quello della terra, si enfatizza il ruolo dei giovani, dei migranti, delle donne. In una parola si parla di una dimensione socio-ambientale del messaggio evangelico. Può essere questa una chiave per scardinare il modello economico dello sfruttamento delle risorse e dell’emarginazione dei deboli?



L’Amazzonia ospita tra il 10 e il 15% della biodiversità, le sue foreste trattengono tra i 140 e i 200 miliardi di tonnellate di carbonio: sono una risorsa fondamentale per contrastare il cambiamento climatico e la loro distruzione – dicono studi accreditati – provocherebbe la perdita di quasi il 20% delle risorse d’acqua del pianeta. Quanto alla dimensione socio-ambientale della fede, è già espressa in quel passo del “Genesi” dove si parla di coltivazione e custodia della Terra. Ancora una volta le parole più profonde e sferzanti le ha pronunciate Papa Francesco: «Un cristiano che non custodisce il Creato e che non lo fa crescere è un cristiano a cui non importa il lavoro di Dio, quel lavoro nato dall’amore di Dio per noi». Ma sono parole riferibili a tutti, credenti e non credenti. Tutti siamo responsabili della Terra ricevuta in custodia, e questa responsabilità si chiama innanzitutto condivisione, spartizione dei frutti materiali e immateriali, cibo e conoscenza per tutti. La Terra è il primo dei beni comuni. Ferire la Terra è ferire la nostra storia, la nostra speranza, la nostra stessa umanità.



Nel Sinodo si è parlato anche di dialogo ecumenico, interreligioso e culturale. Recentemente ha incontrato, e non per la prima volta, Vandana Shiva, attivista ambientale laica e induista, invitata da Casacomune. In un epoca in cui si fa propaganda politica sulle differenze, quanto può essere importante un messaggio di comunione per risolvere i problemi comuni all’umanità?


È più che importante: fondamentale. Ma anche questo è un obbiettivo che implica un grande impegno su più livelli, a cominciare da quello educativo e culturale. La propaganda fa leva su un’idea superficiale, fittizia di identità. L’identità non è quella dei “sovranisti”, che si afferma e si alimenta per contrapposizione. L’identità autentica scaturisce dalle relazioni e dall’incontro tra le diversità. Quando è vera, profonda, radicata nella vita, non circoscritta all’ “io”, l’identità accoglie, conosce, dona. Non respinge, non si chiude, non costruisce muri. Segue il ritmo e il flusso della relazione perché noi tutti siamo in relazione, anzi “siamo relazione”, costituiti da relazioni.



Il Papa ha recentemente preso posizione nei confronti della questione ebraica. Il monito, alla fine del suo discorso, è stato di una semplicità e di una chiarezza estreme: “Gli ebrei sono fratelli nostri e non vanno perseguitati. Capito?”. Chi è secondo lei che ancora non l’ha capito o non lo vuole capire e perché?


Quelli appunto che si nascondono dietro un’idea superficiale ed esclusiva di identità, sia essa identità politica, culturale o religiosa. E da quella fanno scaturire azioni che negano la nostra comune umanità, dettate da logiche d’interesse o di potere.



Un gruppo di 100 intellettuali cattolici ha redatto un documento, a cui l’Osservatore Romano ha ritenuto di rispondere pubblicamente, in cui si accusa il Papa di atti sacrileghi. Ferruccio De Bortoli ha recentemente dichiarato: “Papa Francesco ha più nemici all’interno che all’esterno della Chiesa, dove esistono partiti e schieramenti secolarizzati e che considerano il suo intento riformatore quasi un’eresia”. Lei pensa che i cattolici siano pronti per i messaggi “progressisti” del Papa?


I cattolici autentici sì. Cioè quelli che non si limitano a predicare il Vangelo, ma lo vivono, facendo della fede un’etica. La Parola del Vangelo è spina nel fianco delle coscienze tiepidi, neutrali, accomodanti, che purtroppo sono diffuse, fuori ma anche dentro la Chiesa. E di questo il Papa ha piena consapevolezza, se è vero che nella Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica pubblicata pochi mesi dopo la sua elezione, ha scritto che: «Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo». E ciò perché «una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo».



Vuole inviare un appello ai cattolici per una nuova stagione di impegno per tutti gli esseri viventi e per il pianeta che abitiamo?


Più che un appello un augurio, con profonda umiltà e altrettanto forte speranza. Auguro a tutti di essere più determinati nel saldare il Cielo e la Terra, cioè a vivere il Vangelo con coerenza e radicalità. La Parola di Dio chiede rispetto del Creato e dei nostri simili. Chi si riconosce in quella Parola non può non impegnarsi a costruire più giustizia già a partire da questo mondo.

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