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IL SISTEMA DEI SISTEMI

Food systems summit 2021, dal pre vertice di Roma al vertice di New York, le multinazionali disegnano il sistema alimentare del futuro

fonte https://www.terranuova.it/News/Agricoltura/Food-il-sistema-dei-sistemi

Tutti noi abbiamo idea di cosa sia un sistema in senso generale e, nella maggior parte dei casi, anche in senso particolare. Noi tutti, per esempio sappiamo cosa è un sistema nervoso, un sistema immunitario, un ecosistema e, perché no, un sistema mafioso. Quello di cui si sente parlare meno, e non tutti forse sanno, è che esiste anche un sistema alimentare. Eppure si tratta, con tutta probabilità, del sistema dei sistemi, una fitta rete di interconnessioni da cui dipendono il reddito di miliardi persone, la salute di lavoratori e consumatori, la qualità di acqua, aria e suolo, ovvero lo stato di conservazione del nostro stesso pianeta e i cambiamenti climatici. Il modo in cui si produce il cibo è legato indissolubilmente alle maggiori crisi ambientali, sanitarie e sociali degli ultimi anni. Quando si parla di transizione ecologica non si può, di conseguenza, prescindere da una riflessione sul sistema alimentare egemone e sulla sua governance.

Ma perché parliamo di sistema alimentare e non di sistemi alimentari? In fondo il mondo è grande e i sistemi produttivi sono variegati. Ciò che poteva essere vero nell'era pre-gobalizzazione non lo è necessariamente oggi. Il sistema alimentare globale disegnato dalle multinazionali si basa sulla necessità di uniformare le produzioni e i consumi. Il cibo diviene una merce da produrre in grande quantità al costo minore possibile, al netto di qualsiasi considerazione di ordine sociale, culturale, sanitario, ambientale. Estendere il controllo sul sistema alimentare è divenuto quindi, da tempo, l'obiettivo delle grandi multinazionali legate non solo al settore agricolo ma a quelli della chimica, della finanza, delle biotecnologie e della digitalizzazione. Un mercato plurimiliardario da conquistare ad ogni costo.




Il summit delle multinazionali

Se ammettessimo l'esistenza di un unico sistema alimentare globale, dovremmo necessariamente pensare a una governance condivisa fra Stati nazionali, ovvero dalle Nazioni Unite, proprio per garantire il rispetto dei diritti democratici di tutte le popolazioni coinvolte. L'organizzazione del vertice sui sistemi alimentari, in programma a New York nel mese di settembre, ha però svelato una condizione che si discosta da questo modello ideale. Se è infatti vero che ufficialmente sono le Nazioni Unite a organizzare il summit, è pur vero che dietro le quinte agisce una galassia di potenti multinazionali motivate da interessi di parte e alla costante ricerca di nuovi mercati. Gli Stati, che compongono l'Onu e che dovrebbero farsi portatori degli interessi dei loro cittadini, divengono improvvisamente piazzisti di interessi privati. Una novità dell'ultima ora? No di certo. Ma il vertice di New York ha finalmente alzato il sipario lasciando tutti gli attori coinvolti ben visibili sul palcoscenico.

Il vertice sui sistemi alimentari viene annunciato nel 2019 dal segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, nell'ambito delle azioni del decennio per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile del 2030. Un annuncio che segue la formalizzazione della partnership strategica fra le stesse Nazioni Unite e il World Economic Forum di Davos, un'organismo privato composto da oltre mille fra le più grandi e influenti multinazionali. La nuova alleanza rappresenta, già di per sé, un fatto inedito e tutt'altro che promettente. La successiva designazione di Agnes Kalibata come inviata speciale dell'Onu al vertice non fa altro che confermare le più pessimistiche aspettative. Kalibata è infatti un profilo sostanzialmente estraneo al mondo delle Nazioni Unite ed è soprattutto presidente di Agra, l'organizzazione finanziata dalle fondazioni di Bill and Melinda Gates e di Rockefeller che ha l'obiettivo dichiarato di esportare la rivoluzione verde in Africa. Sementi geneticamente modificate, monocolture, agrochimici, biotecnologie e mercato libero. E' questa la ricetta che, dopo aver fatto danni in tutto il mondo, creando crisi alimentari, sociali ed ambientali, vuole essere applicata all'Africa nell'ambito di un progetto diretto, per l'appunto, da Agnes Kalibata.

Il messaggio non poteva essere più chiaro. Il vertice di New York, e di conseguenza il pre vertice di Roma, avvengono sotto lo stretto controllo delle multinazionali. Sono loro, i padroni del cibo, ad avere, e a voler mantenere, il controllo. E se di transizione si vuole parlare, nessuno si preoccupi, ne parleranno loro stessi. A modo loro. Ci convinceranno che le loro soluzioni saranno abbastanza ecologiche da poter mantenere l'attuale sistema di interessi intatto.

E di soluzioni ce ne sono tante come, per esempio Ogm di nuova generazione, agrochimici sempre più prestanti, carne artificiale, geoingegneria, agricoltura di precisione e raccolta dati. Si tratta di soluzioni che intendono riparare le falle del sistema alimentare industriale e che, al contempo, risultano essere molto remunerative per le stesse multinazionali del settore che hanno individuato nel “tecno soluzionismo” un settore di investimento estremamente remunerativo. Insomma, il sistema non si cambia, la logica rimane la stessa, gli interessi privati non devono essere scalfiti ma, al contrario, devono essere sostenuti da fondi pubblici, magari attraverso partnership pubblico-private. Un obiettivo reale da raggiungere a ogni costo, anche a quello di imbarcarsi in dispendiose campagne di green washing e impiegare testimonials famosi e influenti del calibro di Bill Gates.




Uno scontro epocale fra due visioni del mondo

L'obiettivo dichiarato dalle Nazioni Unite è eliminare la fame nel mondo entro il 2030. Un proposito encomiabile ma anche una tragica ironia considerando che si tratta dello stesso slogan utilizzato dalla rivoluzione verde che non solo non ha raggiunto l'obiettivo ma ha creato una quantità enorme di esternalità negative. Nel luglio del 2021, il rapporto delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare (Sofi) ha confermato il trend negativo, aggravato dalla pandemia di Covid 19, già registrato negli anni precedenti: il 9,9% della popolazione mondiale (720-811 milioni di individui) ha patito la fame nel corso del 2020 con un incremento del 1,5% rispetto al 2019. Nello stesso anno di riferimento, una persona su tre non ha avuto accesso a un'alimentazione adeguata: si tratta di 2,37 miliardi di individui, 320 milioni in più rispetto all'anno precedente. Combattere la fame nel mondo, l'ultimo degli alibi sventolato per anni da multinazionali e governi conniventi è, da tempo, miseramente crollato.

La questione che non si vuole affrontare è che il sistema alimentare industriale, oltre a non essere in grado di raggiungere gli obiettivi di interesse generale, produce una serie di esternalità negative non più sostenibili. Parliamo di sussidi pubblici e agevolazioni fiscali, di opere di bonifica a carico degli enti pubblici, di costi sanitari legati alle malattie non trasmissibili riconducibili a loro volta all'inquinamento e alla cattiva alimentazione. Il tutto scaricato sulle spalle dei contribuenti a cui viene dato il contentino degli sconti al supermercato.

L'ideologia neoliberista dell'agribusiness, attraverso l'imposizione di trattati di libero commercio atti a deregolamentare i settori strategici e abbassare le tutele per lavoratori e ambiente, ha inoltre dato un contributo decisivo all'aumento delle emissioni climalteranti, alla contaminazione di terreni e falde acquifere, agli sprechi, mentre continua ad alimentare il fenomeno della deforestazione e dell'accaparramento delle terre ai danni dei contadini. E' in questo modo che si alimentano crisi economiche, sociali e culturali. Proprio perché i risultati finora conseguiti sono decisamente imbarazzanti, oggi, più che mai, il sistema va blindato. Il summit di New York e il pre summit di Roma servono a stabilire questo: comunque vada, sarà un successo.

Ma se questo è il sistema alimentare che intende avanzare nel suo progetto di egemonia sui mercati, cosa accade a tutti i sistemi alternativi, come quelli agroecologici, che dovevano illuminarci sul percorso della transizione attraverso un ritorno alle produzioni locali e alle filiere corte, riducendo sprechi, inquinamento e garantendoci la sovranità alimentare attraverso un nuovo impulso all'economia circolare? Il 70% del cibo è, d'altra parte, prodotto ancora oggi da piccoli e medi agricoltori che utilizzano non più del 25% delle risorse. Per questi soggetti non rimane, al momento, che l'autorganizzazione, la protesta, la resistenza. Il sistema egemone non li prevede e li emargina perché la transizione è possibile, ma solo a modo loro.

Questo confronto epocale fra due mondi, quello del sistema alimentare industriale globale e quello dei sistemi agroecologici locali, sta andando avanti oramai da molti anni. L'organizzazione del vertice sui sistemi alimentari delle Nazioni Unite ha solo reso questa contrapposizione ancora più evidente portandola, di fatto, al suo atto finale. Un evento, che sulla carta dovrebbe rappresentare l'occasione di incontro democratico fra i vari portatori di interesse, si trasforma in una kermesse che intende ribadire, a chi ancora non l'avesse capito, chi sono i veri padroni del cibo. Il confronto si tramuta così in scontro aperto.




Dalla resistenza al contro-vertice diffuso

Il fatto che il vertice sui sistemi alimentari non si tenga a Roma, presso la Fao, ma a New York è già un indicatore importante. Una scelta simbolica, ma anche politica visto che il Cfs, il Comitato per la Sicurezza Alimentare Mondiale, opera proprio in ambito Fao. Un'istituzione forse troppo inclusiva per i dittatori del cibo che hanno deciso di relegare ai margini il comitato. Una marginalizzazione che ha condotto all'immediata reazione del Meccanismo della società civile e dei popoli indigeni (Csm), l'organismo parte integrante della Cfs creato nel 2010 con l'obiettivo di facilitare la partecipazione della società civile, dei movimenti sociali e dei popoli indigeni ai processi decisionali delle Nazioni Unite. Il Csm, che conta oltre 380 milioni di membri in tutto il mondo, dopo aver tentato invano di far valere le proprie ragioni attraverso comunicazioni ufficiali all'Onu e alla Fao, ha deciso di uscire dal summit e mettersi alla testa delle proteste.

E' proprio la deriva antidemocratica che ha portato alla creazione di un fronte internazionale, composto da associazioni di produttori, organizzazioni della società civile, accademici, scienziati e attivisti, pronto a reclamare il proprio diritto alla sovranità alimentare e a denunciare l'opacità e la non rappresentatività del vertice. Il tentativo di imporre un sistema alimentare egemonico ed esclusivo e di affidarne la governance globale agli stessi soggetti che hanno perpetrato negli anni il modello produttivo più inquinante, più iniquo e più conflittuale possibile, potrebbe paradossalmente divenire un boomerang. E' forse questa la conseguenza più rilevante del vertice: l'aver compattato il fronte internazionale rendendo chiaramente visibile il crogiolo di interessi che si cela dietro il sistema alimentare pilotato dall'agribusiness.

Il fronte degli opponenti è effettivamente ampio, e cresce giorno dopo giorno. Sono centinaia le organizzazioni internazionali schieratesi apertamente contro il vertice chiedendo, per l'appunto, un cambio di sistema. Fra queste Ifoam, Agroecology Europe, Slow Food, Wwf, Oxfam, Ipes Food, Amnesty International, Greenpeace. Le contestazioni contano sull'appoggio di molti scienziati che si ribellano all'uso strumentale della scienza da parte delle multinazionali e addirittura su quello degli ultimi tre relatori speciali sul diritto all'alimentazione dell'Onu.

Le alternative, d'altra parte, già esistono. E funzionano. E' forse questo l'elemento che più spaventa l'agribusiness. L'agroecologia si è già dimostrata una pratica utile ad affrontare le sfide attuali. Si adatta alle necessità locali, non inquina, non spreca, contrasta i cambiamenti climatici, preserva la biodiversità e la salute delle persone, si basa sui principi di rispetto dei diritti umani, equità e giustizia sociale. Sono molti gli eventi organizzati in tutto il mondo che stanno contribuendo a creare un contro-vertice diffuso. Si tratta ora di raccogliere tutte le proposte per immaginare e progettare il sistema alimentare del futuro. Un sistema ecologico, democratico, equo e inclusivo.







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