Verità e bugie su nuovi e vecchi OGM: la narrazione dell’industria alla prova dei fatti
Brano tratto dall’articolo Il revival del transgenico sulla rivista Terra Nuova di febbraio 2021, 22 febbraio 2021 | Fonte
La lobby industriale torna alla carica per non perdere il treno della seconda generazione di OGM, dopo che l’Europa aveva imposto regole ferree alla prima generazione. L’obiettivo principale dell’agribusiness è primariamente quello di sottrarre le NBT alle regole degli OGM e quindi evitare test, monitoraggi ed etichettature. Insomma, la deregolamentazione sarebbe il miglior scenario per l’industria, che anche in questo caso si affiderà, presumibilmente, ai vecchi cavalli di battaglia per convincere l’opinione pubblica.
Uno degli argomenti preferiti è quello di tacciare le posizioni anti OGM come antiscientifiche e ideologiche. Purtroppo per l’industria, la quantità di studi scientifici che sollevano dubbi sulle biotecnologie applicate all’agricoltura è praticamente sconfinata. GMOResearch.org è il primo e più completo database scientifico, con oltre 2 mila studi e pubblicazioni che documentano i rischi e gli effetti nocivi, potenziali ed effettivi, degli OGM. Il database contiene riferimenti da tutto il mondo che documentano gli effetti sulla salute, l’impatto ambientale, l’impatto sugli organismi non bersaglio, la resistenza degli organismi bersaglio, i danni da deriva dei pesticidi, la contaminazione genetica, il trasferimento genico orizzontale e altri effetti indesiderati, oltre a riferimenti relativi alla resa delle colture, all’impatto sociale, all’etica e all’economia.
Anche la sentenza della Corte di giustizia che equipara OGM a NBT sembra trovare conferme nel mondo scientifico. L’ultimo studio pubblicato in materia su Science Direct[1] sfida la decantata precisione della tecnica Crispr-Cas, evidenziando l’imprevedibilità dei risultati e la possibilità che gli effetti collaterali indesiderati possano essere rischiosi per l’utilizzatore finale. Per ribadire la necessità di regolare OGM e NBT è sceso in campo anche l’European network of scientists for social and environmental responsibility.
Da un punto di vista scientifico comincia a scricchiolare anche la pretesa degli NBT di essere «naturali». Uno dei leit motiv della lobby industriale è che la tecnica del gene editing, non lasciando tracce, dovrebbe essere equiparata a un processo naturale, sfuggendo così alle norme sugli OGM. Ma anche in questo caso una nuova ricerca[2] contraddice l’assunto. I ricercatori hanno utilizzato con successo un test quantitativo altamente sensibile e molto accurato per la prima coltura a modificazione genetica commercializzata: la Canola Su (sulfonylurea- tolerant). Si tratta del primo test di rilevamento open source per una coltura geneticamente modificata.
Cosa dire del vecchio cavallo di battaglia della sostenibilità, che fa capolino anche dalle pagine del documento Farm to Fork? Un recente studio[3] della dottoressa Allison Wilson del Bioscience Resource Project negli Stati Uniti prende in considerazione il Golden Rice, le colture geneticamente modificate tolleranti agli erbicidi (Ht) e le colture insetticide Gm Bt, rilevando che «l’uso diffuso di colture Bt e Ht ha portato allo sviluppo problematico di resistenza ai parassiti, super infestanti e parassiti secondari». In risposta a questi problemi «gli agricoltori hanno aumentato sia l’uso di insetticidi che di erbicidi». Insomma, la narrazione rassicurante sulle nuove tecniche di manipolazione geneticasembra cozzare contro il muro degli effetti indesiderati. Quella della sostenibilità in agricoltura sembra destinata a rimanere una favola. «In teoria, un giorno potrebbe essere possibile creare una coltura geneticamente modificata che soddisfi i requisiti generali dell’agricoltura sostenibile» conclude Wilson «ma in pratica sembra altamente improbabile che ciò avvenga».
I risultati degli studi di Wilson non rappresentano certo una sorpresa per il genetista Salvatore Ceccarelli che aveva già identificato i medesimi problemi relativi alle colture Ht. «Qualsiasi meccanismo di protezione contro un parassita delle colture, sia esso genetico o chimico, può essere descritto come instabile o stabile e gli OGM appartengono alla categoria di soluzioni instabili al problema della protezione contro i parassiti ed è per questo che, nella migliore delle ipotesi, forniscono soltanto una soluzione temporanea, che a sua volta, come descritto sopra, crea un nuovo problema (una razza resistente del parassita), che richiede una soluzione diversa (un nuovo OGM). Pertanto, l’introduzione di OGM in agricoltura avvia una reazione a catena che beneficia solo l’azienda produttrice di OGM»[4] sottolinea Ceccarelli.
Nell’ambito di un confronto così serrato, l’unica certezza riguarda proprio i beneficiari di un eventuale processo di deregolamentazione, ovvero le grandi multinazionali che, brevettando le nuove varietà, saranno le uniche a trarre vantaggi da queste politiche. Con buona pace di consumatori e piccoli produttori, come ha rilevato la presidente di Navdanya International, Vandana Shiva, la quale sottolinea che «gli organismi modificati con la tecnica dell’editing genetico sono OGM. L’editing genetico non è equiparabile alla selezione varietale tradizionale, ma a una scorciatoia che permette di brevettare semi e di appropriarsi del patrimonio di sementi che gli agricoltori hanno evoluto nel corso dei secoli»[5].
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